Ciò che affrontiamo è un argomento che è già stato ampiamente trattato, sfortunatamente si tratta di una patologia che continua ad affliggere molte razze canine, per questo motivo occorre parlarne ancora. La displasia dell'anca nel cane, è una condizione degenerativa, ed è ereditaria.
Pur essendo una patologia multifattoriale, la trasmissione genetica sembra essere la causa predominante.
Grazie alla prevenzione riusciamo ad arginare gli effetti della displasia dell'anca nel tempo, eviteremo così interventi invasivi futuri a cui sottoporre il cane. Se dovessero insorgere complicanze dovute alla patologia, il PRP può essere una valida alternativa.
La displasia dell’anca consiste in una malformazione della testa del femore che non riesce ad alloggiare nella cavità del bacino (acetabolare) e questo produce frizione ed erosione della cartilagine. Ne sono affetti principalmente i cani di grossa taglia, di taglia gigante e molossoidi. Il peso è un importante fattore aggravante.[1]
Le altre cause che contribuiscono alla displasia sono riconducibili a fattori ambientali e all’alimentazione del cane. Per fattori ambientali intendiamo eccessiva attività fisica in età precoce, traumi o altre patologie. L’alimentazione ovviamente gioca un ruolo chiave, se pensiamo che il peso del cane può sottoporre ad ulteriore stress un’articolazione compromessa.
Ovviamente i sintomi sono facilmente riconoscibili in un cane adulto,
• Zoppia
• Rigidità
• Dolore
Mentre in un cucciolo con età compresa tra i 4 e 12 mesi movimenti anomali, andatura a mo’ di coniglio (bunny hopping) fatica a salire o scendere le scale o reticenza nei confronti dell’attività fisica in generale, potrebbero essere dei segnali a cui prestare attenzione.
Per escludere altre patologie con la stessa sintomatologia, è opportuno sottoporre il cane ad esami ad opera di un veterinario ortopedico. Si può avere una diagnosi grazie ad un esame radiografico, combinato ad un test dell’estensione dell’anca e un test di abduzione e rotazione esterna dell’anca.[2]
La terapia mira alla riduzione del dolore, e al rallentamento delle condizioni generali della patologia, attraverso una terapia conservativa, farmacologica, chirurgica e con nuove metodiche di medicina rigenerativa.[3]
L’approccio conservativo consiste in modifiche dell’attività fisica del cane e della sua dieta. In particolare l’attività fisica deve essere bilanciata in modo da non far perdere all’animale la tonicità muscolare, al tempo stesso non deve compromettere ulteriormente l’articolazione.
Per il trattamento farmacologico si opta per la somministrazione di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) o corticosteroidei (non utilizzabili a lungo termine).
La strada farmacologica, non è condivisa da tutti gli autori, a causa degli effetti avversi (disturbi gastrointestinali e urinari), inoltre i farmaci potrebbero anche essere responsabili dell’accelerazione del processo degenerativo. Una scelta interessante potrebbe essere quella di Condroprotettori, che non hanno particolari controindicazioni e possono essere usati a lungo termine.
Alla chirurgia si ricorre per interventi di tipo ricostruttivo, sostitutivo o palliativo.
Al primo tipo di chirurgia appartiene la Sinfisiodesi pubica (JPS). Un intervento mini invasivo, effettuato su cuccioli di 4-5 mesi. Consente di orientare correttamente gli acetaboli in modo da migliorare la loro congruenza articolare con le teste femorali.
Nei cani tra i 5 e gli 8 mesi la Duplice Osteotomia Pelvica (DPO) rappresenta un’ottima soluzione chirurgica per correggere la patologia, ripristinando una condizione articolare normale.
L’intervento consiste nella rotazione esterna dell’acetabolo dell’anca che consente la normale copertura articolare della testa del femore, la diminuzione della lassità e l’arresto della degenerazione articolare.[4]
Tra le tecniche di tipo palliativo la DARtroplastica che mira all’ampliamento della superficie dell’acetabolo; tale ampliamento viene effettuato applicando degli innesti di tessuto osseo (autoinnesti) o di materiale di origine sintetica.
Infine gli interventi sostitutivi consistono nel rimpiazzare totalmente l’articolazione attraverso l’impianto di una protesi d’anca.
Prima di procedere con procedure invasive, si può ricorrere alla medicina rigenerativa, utilizzando ad esempio cellule staminali mesenchimali (MSC) ottenute dal tessuto adiposo (anche in associazione con il PRP).
Anche il Plasma Ricco di Piastrine (PRP) può essere una valida soluzione non invasiva per il trattamento dell’artrosi causata dalla patologia.
Il PRP ricco di piastrine e fattori di crescita permette una rapida rigenerazione dei tessuti e della parte lesa. Il PRP è ottenuto attraverso un prelievo di sangue autologo (è possibile prelevare sino a 10 ml di sangue per kg di peso del paziente). Il sangue viene processato in modo da recuperare il maggior numero di piastrine, che vengono poi risospese in una soluzione in cui le piastrine siano più concentrate rispetto al sangue di partenza. Il PRP così ottenuto può essere iniettato direttamente nell’articolazione con risultati subito visibili per quanto riguarda riduzione del dolore e miglioramento della deambulazione.
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